Dalla promulgazione da parte della Corte di cassazione della sentenza n. 350/13 che, per l’individuazione del “delitto di usura”, prevedeva la cumulabilità dei tassi corrispettivi (ossia quelli relativi all’erogazione del finanziamento) con quelli moratori (ossia quelli legati alla mancanza di regolarità nei pagamenti delle rate) la giurisprudenza ha subito un’ampia evoluzione.
Mentre le prime pronunce hanno fermamente negato la possibilità di sommare i due tassi poiché “aventi nature diverse” (di “pagamento di un prezzo” l’interesse applicato sul finanziamento e di “risarcimento per le inadempienze” quello di mora) e l’usura “faceva riferimento solo al primo”, nel corso degli anni si è venuta creando una giurisprudenza che sempre più spesso accoglie positivamente tale possibilità, con crescenti benefici in termini risarcitori.
Va detto che, in effetti, la somma dei due tassi, anche matematicamente, non ha senso ma dato che la norma fa riferimento, ossia la L. n.108/1996, stabilisce che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito” si viene sempre più spesso qualificando gli interessi di mora quali “remunerazioni a qualsiasi titolo” ossia costi concorrente alla verifica dell’usurarietà.
Recentissima è una sentenza della Corte di cassazione che si esprime in tale senso.
Giova ricordare che la verifica dell’usura di un finanziamento deve riguardare il solo momento in cui il contratto è stato sottoscritto e non quelli successivi giacchè l’usura sopravvenuta, anche se riscontrata, non comporta la contrarietà alla citata L. 108/96 del contratto stesso.