Prima di approfondire la tematica dell’impresa familiare fra conviventi è opportuno rammentare che è stata la Legge 76/16 (cosiddetta legge Cirinnà) che ha regolamentato “… l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto…”. Nello svolgimento del presente intervento ci concentrerà su alcuni degli aspetti “aziendali, fiscali e contributivi” derivanti dalla “convivenza di fatto”.
COSA SIGNIFICA CONVIVENZA DI FATTO E COME SI ACCERTA
In base all’art. 1 comma 36 della predetta L. 76/16 “… si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile … per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica…” per cui, in estrema sintesi, la convivenza di fatto legalmente riconosciuta è quella che si realizza fra due persone maggiorenni a condizione che sia anagraficamente documentata dal competente ufficio comunale.
POSSIBILITA’ DI COSTITUIRE UN’IMPRESA FAMILIARE
La predetta legge Cirinnà ha introdotto nel codice civile l’art. 230 ter rubricato “diritti del convivente” in base al quale “… al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare …”, naturalmente oltre quello “retributivo” spettano anche altri diritti che, in ogni caso, sono inferiori rispetto a quelli dei partecipanti ad un’impresa familiare “tradizionale” ossia fra soggetti coniugi o parenti/affini.L’impresa familiare materialmente si costituisce tramite la predisposizione di un apposito atto notarile.
DIRITTI DEL COLLABORATORE FAMILIARE
Il sopracitato art. 230 ter prevede che al collaboratore “…spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonchè agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato.”
CARATTERISTICHE DELL’IMPRESA FAMILIARE
L’impresa familiare presenta un tipo di rapporto fra le parti differente dalla società o dal rapporto di lavoro subordinato in quanto il titolare dell’impresa familiare è l’unico responsabile della stessa, la gestisce e la dirige, mentre il collaboratore partecipa all’attività ma senza responsabilità direzionali e in ogni caso in maniera differente dal dipendente assunto non avendo né gli stessi diritti né le stesse responsabilità; allo stesso modo la sua posizione è differente da quella del socio di una società.
CONSEGUENZE FISCALI LEGATE ALL’IMPRESA FAMILIARE
L’Agenzia delle Entrate in una risposta ad un interpello (risoluzione 134/17) di un imprenditore individuale che aveva costituito un’impresa familiare con la sua compagna “convivente di fatto”, dopo aver rammentato il contenuto della legge Cirinnà e l’introduzione dell’art. 230 ter nel codice civile, ha puntualizzato che “…il regime tributario dell’impresa familiare è regolato dal comma 4 dell’articolo 5 del TUIR…” secondo cui i redditi prodotti dall’impresa familiare sono da attribuire a tutti i partecipanti in modo continuativo all’attività lavorativa e che il titolare dell’impresa ha diritto ad almeno il 51% degli stessi, in altri termini non esistono differenze fiscali con l’impresa familiare “tradizionale”.
CONSEGUENZE CONTRIBUTIVE LEGATE ALL’IMPRESA FAMILIARE
In caso di imprese familiari “tradizionali” la loro costituzione, in un’ottica di versamento dei contributi previdenziali, comporta l’iscrizione alla gestione contributiva (artigianato o commercio) del collaboratore familiare con obbligo dei versamenti contributivi a carico di quest’ultimo da parte del titolare dell’impresa.
Ciò premesso nella circolare 66 del 31/03/2017 (intitolata “Legge 20 maggio 2016, n. 76…Risvolti in materia di obbligo assicurativo presso le gestioni dei lavoratori autonomi artigiani e commercianti”) l’INPS, parlando di conviventi di fatto, precisa che “… il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d’impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto ad obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare”, in altri termini non è prevista la sua iscrizione all’INPS.
CONCLUSIONI
Dalla lettura della norma vigente e degli svariati documenti di prassi prodotti dai vari enti si può affermare che due maggiorenni “ufficialmente” conviventi possono costituire un’impresa familiare (che in ogni caso differisce dalla costituzione di una società o dall’assunzione di un dipendente) per lo svolgimento di un’attività di carattere commerciale o artigianale. La partecipazione all’attività lavorativa comporta il diritto del convivente ad una quota del reddito prodotto nel limite massimo del 49% dello stesso e, in caso di cessazione dell’impresa, al riconoscimento di una quota dell’avviamento che l’azienda ha realizzato nonché dei beni acquistati.
Il collaboratore in quanto tale non ha alcun obbligo previdenziale (iscrizione all’INPS) connesso alla percezione di un reddito prodotto dall’impresa familiare.